lunedì 27 febbraio 2017

Diritto Pubblico, Scienze Politiche, Islam Raccolta di Saggi. Volume 1., Irfan Edizioni, 2017, a cura di Ali Reza Jalali

Diritto Pubblico, Scienze Politiche, Islam Raccolta di Saggi. Volume 1., Irfan Edizioni, 2017, a cura di Ali Reza Jalali.
Nuova pubblicazione a cura del Dipartimento di Studi giuridici, politici ed economici del Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza. Per ogni informazione e per prenotazioni contattare l'Editore tramite il sito internet di Irfan Edizioni. 

lunedì 16 maggio 2016

"Islam, politica, diritto". Nuovo blog del Dipartimento di Studi giuridici, politici ed economici del Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza


Si informano i gentili lettori del blog che d'ora in avanti gli aggiornamenti potranno essere seguiti solo ed esclusivamente su un nuovo sito: https://islampoliticadiritto.wordpress.com/
 
 

 

 
 

"Islam, politica, diritto"

Blog del Dipartimento di Studi giuridici, politici ed economici del Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza. Direttore: Ali Reza Jalali (Ph.D.), Dottore di ricerca in Diritto costituzionale presso l'Università di Verona (2016, titolo tesi: "Islam, Costituzione, diritti umani. Il peso della sharia sugli ordinamenti costituzionali"

giovedì 12 maggio 2016

Islam ed Europa. Intervista ad Adolfo Morganti


 

A cura di Ali Reza Jalali


La convivenza pacifica tra i popoli è da sempre una delle ambizioni dell'essere umano, soprattutto in contesti come quello europeo contemporaneo, dove per via di fenomeni quali la globalizzazione economica, persone di diversa cultura e religione si trovano a vivere insieme. Ciò vale soprattutto per le comunità islamiche d'Europa, le quali tendono ad essere al centro delle attenzioni pubbliche per via di problemi come l'estremismo religioso, la difficile integrazione nel tessuto sociale locale e la diffidenza generale nei confronti degli immigrati.

Adolfo Morganti, Presidente dell'Associazione Identità Europea
 

Prof. Morganti, lei come editore (edizioni Il Cerchio) si è spesso impegnato nella pubblicazione di testi con l'obiettivo di fare chiarezza sul problema islamico in relazione alla civiltà europea. In che misura pensa di aver ottenuto buoni risultati in questo senso?

La Casa editrice Il Cerchio nasce nell'ormai lontano 1980 esattamente al fine di dare vita ad uno spazio aperto di confronto e di riscoperta della necessità dell'esperienza del sacro per l'edificazione di una civiltà libera dai cascami della modernità.
Il suo stesso nome richiama alla ricerca di un Centro, da cui ogni Cerchio nasce. Benché ognuno di noi avesse in quegli anni riscoperto anche con fatica la vitalità del grande tronco dell'esperienza spirituale cattolica, con particolare attenzione ai suoi aspetti monastici e cavallereschi, una costante attenzione verso le altre grandi Tradizioni religiose ci è sembrata immediatamente indispensabile: se non altro in quanto l'ampiezza della battaglia epocale in corso allora come oggi ci pareva tale da non consentire di escludere il contributo che le altre grandi Tradizioni religiose poteva dare ad un auspicato contrattacco rispetto alla degradazione postmoderna planetaria.
Lo stesso strumento editoriale va visto come mezzo rispetto a questo fine. In quest'ambito, seguendo il coraggioso lavoro di Franco Cardini, abbiamo editato, ossia dato voce italiana, sia a classici del pensiero islamico dal medioevo ad oggi, sia a studi di importanti figure del pensiero islamico contemporaneo; per non parlare di grandi studiosi italiani del mondo islamico come Pio Filippani Ronconi, di cui siamo orgogliosi di aver ristampato opere altrimenti destinate all'oblio, e lo stesso Cardini; infine, alcuni giovani studiosi italiani.
Con la nostra piccola spada, abbiamo punzecchiato al meglio il ventre del drago.

L'Islam oggi non è solo qualcosa di "esterno" all'Europa, ma orami sembra fare parte, in un modo o nell'altro, del tessuto sociale del vecchio continente. Quali potrebbero essere secondo lei le vie per migliorare l'interazione tra musulmani e non musulmani qui?

L'Europa è un continente in profondissima crisi di significato. Ogni aspetto della sua crisi sociale, culturale, politica ed economica dipende - ne sono certissimo, avendo ricevuto questa coscienza da decenni di precursori che ne hanno inquadrato e previsto l'implosione, comunicandocene la profezia - da una precedente crisi d'ordine spirituale giunta alla feccia: l'Europa, oggi, non ha più un senso soprattutto per gli europei.
Un aspetto tipico di questa apoteosi dello svuotamento di sé è la paura delle identità altrui, e più queste identità sono ancora forti ed in parte ancora oggidì integre, più questa paura aumenta.
In tal modo al buon europeo medio, che non eleva nemmeno il proprio panico al di sopra della difesa di quanto rimane di una prosperità materiale individuale di piccolo cabotaggio, per giunta oramai al tramonto, fa paura non solo l'Islam, ma anche l'Ortodossia: quella russa, ad esempio. E la paura lo blocca, rendendogli impossibile la gestione di ogni sfida epocale, come quella migratoria.
L'Europa della postmodernità è, temo, un morto che cammina in maniera irriflessa, e non sarà certamente sufficiente rivolgersi strumentalmente verso Papa Francesco per ridar vita a quanto è stato quasi ucciso: ucciso da secoli di cosciente lotta contro le radici storiche, culturali e spirituali dell'Europa stessa, quella vera, quella di sempre.
Di contro un'Europa viva, in grado di far propria una rinnovata fiducia in un progetto di civiltà che sappia riprendere oggi i capisaldi culturali ed antropologici dell'antica eredità imperiale, sarebbe a mio parere in grado di relazionarsi con l'Islam (nelle sue differenti articolazioni) in modo tanto chiaro quanto franco.
Ricordo solamente quanto le relazioni fra le 3 religioni abramitiche fossero intese e vissute all'interno dell'Impero Austro-Ungarico, e questo a 100 anni dall'inutile strage della 1° guerra mondiale, quindi solamente 100 anni fa.

Se la religione musulmana ha un rapporto con la civiltà europea, sia nel senso di un "incontro" tra le civiltà, sia, perché no, di uno "scontro", ciò non è di certo un fatto nuovo, ma ha una sua storia abbastanza lunga. Quali sono secondo lei le differenze o le similitudini tra il rapporto Islamo-Europeo contemporaneo e quello, ad esempio, medievale?

Mi riallaccio a quanto detto sopra. Chi non ha identità (o, peggio, rifiuta la stessa prospettiva di riscoprirne una) non ha alcuna possibilità di comprendere altre identità; al contrario, nell'incontro-scontro secolare che dal VII al XVIII secolo ha coinvolto Islam e Cristianesimo nello spazio del Mediterraneo sono maturate sfide che hanno reso grande e forte l'Europa e il suo pensiero: ricordo qui solamente la grandiosa figura del Beato francescano Raimondo Lullo, di cui nel silenzio più assoluto sta passando il 7° centenario della morte.
La pace e la guerra vanno quindi colti come momenti differenti di un rapporto culturale e spirituale sempre profondo e paradossalmente utile per tutti. Di questa grandezza, che rimane all'interno delle simmetriche caricature degli scontri fra fondamentalisti islamici e "crociati" del nulla che ammorbano i mass media di tutto il mondo?

In conclusione, riusciremo a trovare un punto di incontro, qui ed ora, tra Islam ed Europa?

Fra Islam e Cristianesimo oggi i punti d'incontro sono certamente più numerosi dei punti di frizione, al netto delle deformazioni che i vari fondamentalismi (un morbo occidentale che ha contagiato nel corso del XX secolo molte altre Tradizioni religiose) producono, supportandosi a vicenda.
Oggi una feconda collaborazione fra Islam e Cristianesimo ha dinanzi a sé spazi colossali: la tutela della famiglia e del fondamento religioso della convivenza umana; la risposta alla globalizzazione economica ed al saccheggio delle risorse del pianeta; la difesa delle identità concrete.
Spazi assolutamente nuovi in quanto tipici del mondo post-moderno, ma di una grandezza tale da non far rimpiangere l'immensa grandezza del tempo delle Crociate: essi annunciano, in fondo, il tempo degli Idoli, che è anche il tempo della lotta contro il dajjal, l'anticristo della tradizione cristiana.  

 

Si ricorda che Adolfo Morganti sarà tra i relatori del convegno internazionale sulla figura dell’Imam Khomeini che si terrà a Roma il 4 giugno 2016 presso Hotel Best Western (zona stazione Tiburtina). Il convegno è organizzato dal Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza in collaborazione con Irfan Edizioni, Istituto Culturale della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma, Unione delle Associazioni Islamiche degli Studenti – Italia, Libreria Raido e Associazione Identità Europea, quest’ultima presieduta proprio dal prof. Morganti. Per maggiori informazioni potete contattare la segreteria organizzativa del convegno: dott. Giuseppe Aiello, tel 3297223003.
 
 

La crisi irreversibile dell'Islam politico siriano. Il caso dei Fratelli Musulmani

UNA RIUNIONE DEI FM SIRIANI A ISTANBUL  
 
Ali Reza Jalali
Il conflitto siriano ha rappresentato per i Fratelli Musulmani una opportunità unica per rientrare nel panorama politico del paese arabo dopo 30 anni, ovvero da quando Hafez Assad costrinse il gruppo all’emarginazione politica. Tale formazione fu costituita da chierici locali sul modello dei Fratelli Musulmani egiziani fondati da Hassan Al Banna, e negli anni ’50 e ’60 divenne una forza parlamentare. Dagli anni ’70 in poi però, soprattutto tra il 1979 e il 1982, il partito entrò in uno scontro con l’egemone Baath, garantendosi così però una legittimazione rivoluzionaria che ha avuto molta utilità nel rendere i Fratelli Musulmani siriani un gruppo importante per le rivolte anti-Assad dal 2011 in poi. Nonostante ciò, il gruppo islamista ha avuto molti problemi nella sua affermazione concreta, per via di vari motivi. Il lungo esilio ha fatto passare agli occhi dei siriani il movimento come foraggiato dall’esterno, senza presa effettiva sulla popolazione locale. Inoltre, la dirigenza del partito è molto anziana, e non è riuscita ad istaurare un rapporto costruttivo con le nuove generazioni. D’altro canto, la degenerazione militare del conflitto ha portato alla radicalizzazione della componente islamista, con l’emersione di altri gruppi più estremisti che hanno conteso il ruolo di fazione islamica avanguardista all’interno dell’opposizione anti-Assad. La nascita di fazioni come l’ISIS o il Fronte Al Nusra hanno rappresentato una opportunità, ma anche un rischio per i Fratelli Musulmani. Da un lato il discorso ideologico pragmatico, centrista e moderato della fazione, rispetto alla concorrenza islamista, ha fatto si che i FM potessero essere foraggiati e aiutati dagli occidentali, diventando cosi il primo interlocutore ufficiale degli occidentali nell’alveo dell’islamismo politico siriano. D’altro canto, la concorrenza radicale delle altre fazioni islamiche ha emarginato i FM tra la popolazione siriana, innescando una profonda crisi ideologica nel partito.
Il pragmatismo  
I FM hanno cercato sin dal 2011 di controllare l’opposizione siriana, ma senza un ruolo troppo esposto, lasciando maggiore risalto mediatico ad altre figure dell’opposizione siriana, come dei leader sunniti secolarizzati, dei curdi e dei cristiani. D’altro canto il vero controllo della coalizione anti-Assad era saldamente nelle mani dei FM, anche se ciò non era una cosa appariscente. Essi non obbligarono la coalizione a rivendicare istanze islamiste, ma cercarono pacatamente di controllarne l’operato dall’esterno. Un’altra mossa dei FM siriani fu l’ingresso nella nuova coalizione anti-Assad proposta da Obama dal 2012 in poi. Qui inizialmente i FM furono scettici, ma poi piazzarono alla vicepresidenza un loro uomo e iniziarono a controllare la nuova piattaforma attraverso una moltitudine di ONG indirettamente gestite della Fratellanza medesima. Tale politica portò alla fine alla presidenza dell’ente anti-Assad un uomo dei FM, Ghassan Hitto, sponsorizzato dal Qatar. Dal 2013 in poi però i FM sono rimasti vittime dei giochi di potere regionali interni ai governi che sostenevano la ribellione anti-Assad. Infatti, progressivamente, i FM siriani, fino ad allora saldamente allineati al Qatar, vedendo tramontare la meteora dell’Emiro di Doha, grazie anche alla prova di forza dei sauditi nel fare fuori tramite Al Sissi i FM egiziani, hanno deciso di tenere una posizione più bilanciata nei confronti dei sauditi, e alla fine nel 2014 andò al potere nella piattaforma anti-Assad, un uomo sempre dei FM, ma sta volta più vicino ai sauditi. La dirigenza dei FM siriani in quell’occasione disse apertamente che non era nel loro interesse avere un atteggiamento negativo nei confronti di Riad. Con l’elezione di Ahmed Al Jarba, uomo dei sauditi, sostenuto anche dai FM siriani, tale approcciò si concretizzò totalmente. Tale rapporto privilegiato fu poi confermato nel marzo del 2014 quando i sauditi inserirono i FM nella lista delle organizzazioni terroristiche, ma risparmiarono i FM siriani, i quali furono molto grati per tale decisione. Inoltre, nello stesso periodo, fu nominato a capo dei FM siriani un medico siriano residente a Jeddah, il quale ringraziò i sauditi per essere il motore del mondo islamico, nonché per essere l’avanguardia musulmana contro Assad e l’Iran, compiacendosi anche dell’intervento saudita in Yemen.
Un’ideologia moderata
Esiste un rapporto difficile tra i FM siriani e quelli egiziani; ciò si è visto lungo la storia, ma anche negli eventi della primavera araba. Infatti, i siriani hanno sempre contestato agli egiziani di aver sbagliato nel presentare un proprio candidato per le presidenziali e di preferire un approccio diverso, ovvero quello di muoversi in una coalizione. Inoltre non sono mancati attacchi a Morsi giudicato, a ragione o a torto, troppo morbido nei confronti di Iran e Russia, alleati di Bashar Assad. Un leader siriano della Fratellanza disse apertamente che era triste sentire Morsi parlare con toni pacati da Mosca, quando i russi, a sua detta, aiutano Assad a massacrare il popolo siriano. La radicalizzazione di Morsi in chiave anti-Assad, soprattutto nella fase finale della sua presidenza, con un appello al jihad contro il governo siriano, invece di essere accolta positivamente è stata criticata dai siriani, che hanno detto di non aver bisogno di guerriglieri stranieri per fare la rivoluzione. Certo, una volta defenestrato Morsi, almeno formalmente, i FM siriani non hanno potuto che dispiacersi della situazione, ma in profondità la situazione era ben diversa. Tale tensione tra i due gruppi ha anche radici ideologiche. I siriani sono più moderati degli egiziani; i primi contestano ad esempio ai secondi di voler islamizzare le istituzioni e di volere una teocrazia. Non a caso i siriani nel 2013 hanno fondato un nuovo partito politico, il Waad, una piattaforma ideologicamente molto affine al partito di Erdogan in Turchia, un movimento nazionalista influenzato dall’Islam che vuole un approccio morbido e costruttivo con le altre confessioni, che include anche cristiani e alawiti nei propri quadri. La fondazione del Waad ha segnato molte differenze con l’esperienza del partito politico dei FM egiziani (Giustizia e Libertà). Quest’ultimo non era altro che un partito-pupazzo in mano ai FM, mentre il Waad era una sintesi tra i FM siriani e altre organizzazioni, anche di matrice non islamica, ma secolare. Tale movimento ha avvicinato anche i giovani, cercando una relazione armoniosa con varie componenti della società siriana. Tutto ciò però non ha impedito che nel 2015 nascessero grandi divisioni in seno al neonato partito, in quanto si è scatenata una dura faida interna tra chi pensa che il Waad debba muoversi in autonomia completa rispetto ai FM, e altri invece che vogliono che di fatto il Waad sia la costola politica dei FM siriani.
Il problema delle divisioni interne
Uno degli attriti interni principali è quello della diversa visione politica tra la vecchia guardia e il gruppo giovanile. Tale attrito ha portato ad una scissione dal 2010 in poi; infatti, una volta constatato che i FM siriani si affidavano ancora alla vecchia guardia, in pratica quelli che avevano vissuto le vicissitudini degli anni ’80, provenienti principalmente dalle province di Idlib e Hama, i giovani del partito decisero di fondare un movimento parallelo, per dare voce alle proprie aspirazioni. Questi erano provenienti dalla città di Aleppo e avevano una visione più moderna e riformatrice. Uno dei capi della fazione giovanile, Ahmed Ramadan, in poco tempo divenne una delle figure di spicco dell’opposizione siriana. Col passare del tempo e con la crescita del prestigio di Ramadan, anche all’interno della fazione giovanile si innescarono problemi interni. Alcuni accusavano la nuova dirigenza di essersi nuovamente, per questioni di potere, riallineata sulle istanze dei FM. Queste diatribe interne hanno danneggiato il gruppo giovanile, il quale alle fine ha giocato un  ruolo da stampella nei confronti del gruppo storico, deludendo molte aspettative.
In conclusione i FM siriani certamente godono di un maggior prestigio storico rispetto alle altre fazioni dell’opposizione siriana, sia tra gli islamisti, sia in generale. D’altro canto, proprio per la classicità della sua struttura, sembra esso un movimento politico inadatto ad avere un ruolo avanguardistico, al di là dei problemi creati della divisioni interne, nel quadro della situazione siriana attuale, ovvero uno scacchiere sempre più radicalizzato e militarizzato e sempre meno adatto al ruolo dei partiti politici classici, più concentrati sul problema di una transizione mai realizzata, che non di quello che effettivamente è la guerra in Siria, un incrocio di interessi geopolitici e di interessi tribali e settari, non gestibili nell’alveo di una struttura partitica novecentesca.  

domenica 8 maggio 2016

Moro, Fanfani e la “terza posizione” italiana: il conflitto arabo-israeliano del '67



Ali Reza Jalali

Il periodo della “Guerra fredda” rappresenta senza ombra di dubbio un campo di analisi privilegiato per gli studiosi della politica internazionale, per via di una serie di personaggi politici e di fatti accaduti che attraggono l’attenzione dello studioso acuto. Per quanto riguarda l’Italia quella epoca vedeva un ruolo particolare per il “Bel Paese”, ovvero una posizione da un lato privilegiata, cioè quella di “terra di mezzo” tra il blocco occidentale (al quale chiaramente l’Italia aderiva) e il blocco orientale, e d’altro canto un ruolo problematico, quello di dover gestire un precario equilibrio e col rischio di fare la fine del “vaso di terracotta costretto a viaggiare tra vasi di ferro”, ovvero gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
 
"Aldo Moro, l'Italia e la diplomazia multilaterale. Momenti e problemi" è un libro di Federico Imperato pubblicato da Besa nella collana Entropie nel 2013 
 

Inoltre, un altro ruolo da “terra di mezzo” ricoperto dall’Italia in quell’epoca era la spinosa questione del bacino del Mediterraneo e del conflitto arabo-israeliano, che vedeva l’Italia impegnata in una angusta operazione di oscillazione tra istanze filo-palestinesi, erede della storica missione mediterranea italiana, e fedeltà all’alleato americano, rectius, all’alleato israeliano. Nell’alveo di tale ruolo italiano, si inserisce perfettamente l’impegno del governo di Aldo Moro, in particolare quello che va dalla prima metà del 1966 alla prima metà del 1968 (terzo governo Moro).

A capo della diplomazia di quell’esecutivo di centrosinistra si trovava la figura di Amintore Fanfani, uno dei leader di spicco della Democrazia Cristiana, raffinato studioso, nonché artista. Fanfani era entrato in politica dopo la caduta del regime mussoliniano, a guerra terminata, ma la sua relazione col fascismo fu tutt’altro che negativa. Infatti Fanfani, di formazione cattolica, insegnò per anni in scuole, centri di ricerca e università durante il governo di Mussolini, e il suo nome lo si ritrova anche tra i firmatari del Manifesto in sostegno delle “Leggi razziali” nel 1938. Non mancarono poi articoli scritti sulla rivista “La Difesa della Razza” e aperte simpatie, anche con dotte teorizzazioni, in difesa del modello economico corporativo del fascismo, giudicato come un sistema ideale e alternativo sia al liberismo occidentale che al socialismo orientale.
 
Fanfani
 
 

Insomma, non certo un antifascista, tanto è vero che con la caduta del fascismo a Roma, invece di impegnarsi in Italia nella guerra partigiana, preferì rifugiarsi in Svizzera dove fece da insegnante per le famiglie italiane sfollate. Al termine delle ostilità ebbe un ruolo centrale nell’Assemblea costituente, mettendo mano all’art. 1 della Costituzione repubblicana, che definisce l’Italia come una repubblica democratica fondata sul lavoro (Fanfani era un economista).

Ma torniamo al terzo governo Moro e al ruolo di Fanfani nel periodo 1966-1968, importante per comprendere il gioco di equilibrio italiano tra le grandi potenze nella “Guerra fredda” e soprattutto alla luce della crisi mediorientale, che vedeva contrapporsi l’Occidente in sostegno di Israele e l’URSS in sostegno dei Paesi arabi. Proprio nel periodo centrale del terzo governo Moro infatti scoppiò la “Guerra dei sei giorni” (1967), che vide l’attacco israeliano contro l’Egitto, come risposta alla chiusura al transito israeliano da parte egiziana nei mari internazionali a sud dello stato ebraico. Interessanti in tal senso sono le informazioni, i dati e le analisi che vengono messi a disposizione grazie al libro del ricercatore Federico Imperato intitolato “Aldo Moro, l’Italia e la diplomazia multilaterale. Momenti e problemi” (BESA Editrice, 2013, pp. 69-80).

Dalle pagine del libro dello studioso pugliese emerge una tendenza ambivalente nelle istituzioni italiane di quel periodo, da un atlantismo ortodosso a forme più equilibrate, una vera e propria tendenza che potremmo definire “terza-posizionista” o “terza-fazionista”, all’interno del duopolio USA-URSS, con una seria ripercussione sulla politica mediterranea del terzo governo Moro. Infatti, sia prima dello scoppio della guerra del 1967, sia durante il conflitto tra Paesi arabi e Israele, l’Italia cercherà attraverso la fazione filoaraba guidata proprio da Fanfani di ritagliarsi un ruolo particolare all’interno del campo occidentale, ovvero quello di mediatore tra le due parti in conflitto, confidando nel ruolo moderatore delle Nazioni Unite.
 
 
Fanfani incontra il leader egiziano Nasser
 

Non è un caso che l’Italia giudicò negativamente l’idea espressa dai paesi più filo-israeliani del campo occidentale, soprattutto USA e Gran Bretagna, di allestire una sorta di coalizione dei volenterosi delle potenze marittime occidentali che dovevano forzare il blocco navale egiziano ai danni di Israele. Il governo Moro e la diplomazia nostrana, sotto la supervisione vigile di Fanfani, preferiva un dialogo costruttivo tra arabi e israeliani, per evitare fino all’ultimo lo scoppio delle ostilità. Fanfani e Moro, proprio per questo atteggiamento moderato, che spesso sfociava in un vero e proprio filo-arabismo, in quanto la dirigenza italiana non valutava negativamente solo il conflitto tra Israele e Paesi arabi, ma aveva dichiarato più volte che bisognava trovare una soluzione politica alla questione palestinese, erano spesso accusati di tradimento dei patti transoceanici e di voler in qualche modo traghettare l’Italia verso istanze simili a quelle dei Paesi non allineati; a prescindere dalla veridicità di tali accuse, resta il fatto che durante il terzo governo Moro la parte filo-israeliana della politica italiana, rappresentata da persone legate ai repubblicani, ai socialdemocratici e anche ad alcune tendenze della sinistra (ad esempio Nenni), mise in campo il suo potenziale per rassicurare l’alleato americano (e anche gli israeliani) della fedeltà occidentale e atlantica dell’Italia.

Emblematico in questo senso il viaggio negli USA del Presidente Saragat, il quale volle tranquillizzare personalmente Washington delle intenzioni italiane per quanto riguardava la crisi mediorientale e la politica estera italiana. Gli sforzi diplomatici della componente filo-palestinese del governo italiano (Moro-Fanfani) però non riuscirono a fermare le ostilità e gli israeliani, col fondamentale sostegno occidentale, sbaragliarono le difese arabe infliggendo nel ’67 una dura lezione alle principali potenze anti-imperialiste dell’area, soprattutto l’Egitto di Nasser. Circa due anni dopo il suo insediamento, il terzo governo Moro, ufficialmente “equidistante” nella guerra del 1967, caso raro nel campo occidentale, andò in contro a un ridimensionamento elettorale, nel maggio del 1968, segnando forse anche la sconfitta di quella tendenza mediterranea e filo-araba che ciclicamente si presente nelle istituzioni italiane, e che altrettanto ciclicamente deve scontrarsi col muro della componente filo-occidentale della politica del “Bel Paese”, con una diplomazia che la geografia e la geopolitica impone all’Italia, ovvero quello di mediatore tra due mondi, l’Occidente e l’Oriente, sempre al limite tra lo scontro aperto e una pace armata facilmente compromettibile.     

sabato 23 aprile 2016

Convegno internazionale dedicato alla figura dell'Imam Ruhollah Khomeini a Roma il 4 giugno

Il Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza - in collaborazione con Irfan Edizioni, Istituto Culturale della Repubblica Islamica dell'Iran, Unione delle Associazioni Islamiche degli Studenti - Italia, Libreria Raido, Associazione Identità Europea - presenta: convegno internazionale dedicato alla figura dell'Imam Ruhollah Khomeini, grande filosofo, gnostico, giurista e leader politico musulmano del Novecento. Luogo: Roma, presso Hotel Best Western (zona stazione Tiburtina) Data: 04 - 06 - 2016 ore 15.


Per maggiori informazioni vedi la locandina ufficiale del convegno





 Partecipano alla discussione con varie relazioni

Giuseppe Aiello (Editore Irfan Edizioni e vice presidente Centro studi Dimore della Sapienza) 

Paolo Rada (Studioso e direttore del dipartimento di studi storici del Centro studi Dimore della Sapienza)

Akbra Gholi (Direttore Istituto culturale Repubblica Islamica Iran)

Adolfo Morganti (Editore Il Cerchio e presidente associazione Identita' Europea)

Claudio Mutti (Editore Ed. All'Insegna del Veltro e direttore della rivista Eurasia)

Hujjatulislam A. Emami (Studioso e sapiente religioso sciita)


Modera 

Ali Reza Jalali, presidente centro studi Dimore della Sapienza 



L'evento viene organizzato nell'anniversario della dipartita dell'Imam Khomeini (4 giugno 1989) 


Le relazioni saranno in italiano o in persiano (con traduzione simultanea in italiano)


info: Segreteria organizzativa, Giuseppe Aiello tel. 3297223003

sabato 9 aprile 2016

"Chi ha paura dell'Islam?". Incontro pubblico a Modena

 
 
Martedì 26 aprile 2016 a Modena in Via Piave 25 si terrà un incontro pubblico alle ore 21 dal titolo "Chi ha paura dell'Islam?", evento organizzato dall'associazione studentesca Azione Universitaria (Modena e Reggio) in collaborazione con CESEM (Centro studi Eurasia-Mediterraneo), Ente Islamico in Italia e Centro studi Dimore della Sapienza.
 
 
 
L'incontro pubblico è dedicato alla scottante attualità del mondo islamico e dell'Europa, in relazione ai temi dell'instabilità del bacino del Mediterraneo e del Vicino Oriente (la geopolitica e i conflitti nell'area) con le conseguenze per il vecchio continente in materia di società multiculturale e immigrazione. 
 
 
Partecipano alla discussione Stefano Vernole del CESEM (Centro studi Eurasia-Mediterraneo), Stefano Bonilauri (Titolare delle Edizioni Anteo), Ali Reza Jalali del Centro studi Dimore della Sapienza) e Amin Mohamed Attarki dell'Ente Islamico in Italia e membro dei Giovani Musulmani Italiani.
 
Introduce l'evento Lorenzo Rizzo (Presidente Azione Universitaria Modena e Reggio); Cristiano Puglisi, giornalista de Il Giornale, modererà il dibattito. L'ingresso è libero.
 
 
Per ogni ulteriore informazione potete contattare gli organizzatori: tel. 393 420 2317.